Finalmente a Viterbo il prof. Luzi, specialista in Ginecologia
Il Dott. Luzi si è laureato in medicina cum laude. Successivamente ha conseguito la Specializzazione in ginecologia e ostetricia ed ha percorso ua brillante e lunga carriera; già Dirigente medico di I livello presso la S.C di Ostetricia e Ginecologia dell'Azienda Universitaria Ospedaliera di Perugia, Tutor senior presso la Scuola di specializzazione in Ostetricia e Ginecologia dell'Università degli Studi di Perugia e Coordinatore del servizio ecografie e diagnosi biofisica materno-fetale della S.C di Ostetricia e Ginecologia dell'Azienda Universitaria e Ospedaliera di Perugia, è autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche in campo Ostetrico e Ginecologico.
Ad oggi, grazie alla profonda esperienza professionale e l' umanità che lo contraddistingue, è punto di riferimento in studio e terapia delle patologie dell' apparato genitale femminile, dalla gravidanza, all' incontinenza, alla Menopausa.
Prestazioni:
Applicazione e rimozione IUD (spirale)
Biopsia cervicale, vaginale, vulvare
Check up menopausa
Consulenza per sterilità
Colposcopia
Consulenze dietologiche
Consulenze oncologiche ginecologiche
Consulenza per FIVET
Contraccezione
DNA Fetale
Ecografia ginecologica
Ecografia ginecologica
Ecografia Ostetrica
Ecografia ovarica
Ecografia trasvaginale
HPV DNA Test
Pap Test
Monitoraggio ecografico dell' ovulazione
Tampone cervicale
Tampone vaginale
Vulvoscopia
Patologie dell' apparato riproduttivo femminile
Controlli periodici: una misura fondamentale per la tua salute
Visita ginecologica e test di screening come il pap test hanno un ruolo chiave per la salute dell' apparato genitale femminile; solo il controllo ginecologico effettuato a scopo preventivo è in grado di diagnosticare precocemente alcune patologie come cisti ovariche e fibromi uterini.
Gli accertamenti base di controllo a livello ginecologico sono la visita medica ed il pap test; la visita medica specialistica inizia con l’anamnesi, ovverosia il medico effettua delle domande alla paziente in maniera tale da far chiarezza sul suo stato di salute e ricostruirne la storia ginecologica per passare, poi, all'esame obiettivo, durante il quale può essere eseguita anche:
- un’ ecografia transvaginale, nel caso di paziente che abbia già avuto rapporti sessuali;
- un’ ecografia transaddominale, nel caso di paziente che non abbia mai avuto rapporti sessuali.
L’ ecografia permette di delineare il quadro clinico della persona e/o confermare o approfondire le ipotesi diagnostiche elaborate nella fase anamnestica.
Il pap test, invece, è un test per la diagnosi precoce dei tumori al collo dell’utero.
Visite ed esami più specifici possono essere eseguiti qualora venga riscontrata una problematica particolare o nel caso in cui, ad esempio, si voglia cercare una gravidanza e si desideri effettuare accertamenti pre-concezionali su uno/entrambi i partner o qualora si stia già cercando una gravidanza ma il concepimento tardi a verificarsi.
Quando effettuare una visita ginecologica
La visita ginecologica, con ecografia trasvaginale, a partire dai primi rapporti sessuali, andrebbe effettuata una volta l' anno, in quanto, a seguito dell’inizio della vita sessuale della donna, è necessaria una diagnostica e prevenzione per il tumore al collo dell’utero. Inoltre, in questo periodo della vita della donna è importante fornire le corrette informazioni sulla contraccezione e sulle malattie sessualmente trasmesse. Ricordiamo inoltre di effettuare:
- un’ ecografia al seno, indicativamente dai 20 ai 40 anni;
- una mammografia, al di sopra dei 40 anni.
- Ogni 3 anni, va fatto il Pap Test, che secondo le ultime indicazioni sarebbe da eseguire non più annualmente, ma con cadenza triennale, sempre a partire dai primi la visita ginecologica, a partire dai primi rapporti sessuali, rapporti sessuali.
- Nel caso, invece, di gravidanza che non riscontri particolari problematiche è consigliabile una visita ostetrica ogni 4-6 settimane.
Ci sono casi in cui la visita medica va effettuata in un arco di tempo più immediato. Questo avviene quando la paziente è affetta da una sintomatologia quale, ad esempio:
- dolori addominali o pelvici continui;
- assenza o irregolarità delle mestruazioni;
- mestruazioni troppo abbondanti.
Nella maggioranza delle evenienze questi sintomi non sono necessariamente associati a una patologia, ma in alcuni casi, che spetta al medico valutare, possono essere anche manifestazioni di patologia ginecologica o emergenze ostetrico-ginecologiche come quelle riportate in questo elenco a titolo di esempio:
- patologie degli annessi o dell’utero
- squilibri ormonali
- disturbi dello sviluppo puberale
- malformazioni genitali
- sintomi di aborto in gravidanza misconosciuta
- sintomi di gravidanza extrauterina.
Il medesimo discorso è valido anche per una sintomatologia a carico della mammella, come ad es., dolore e galattorrea (un’anomala secrezione di latte dal capezzolo), che può richiedere accertamenti da effettuare nel momento in cui si riscontri la problematica. Nell’eventualità di malattie legate alla gravidanza fra cui, per citarne alcune, diabete e ipertensione gestazionale, il medico valuterà allo stesso modo di effettuare visite più ravvicinate o di riferire la paziente a centri specializzati per la patologia della gravidanza.
La candida, chiamata anche candidosi è un tipo di infezione provocata da un fungo (Candida Albicans) almeno nell’ottanta per cento dei casi, e per il venti per cento da specie definite “non Albicans” come la Candida Glabrata, la Candida Parapsilosis e diverse altre.
Questo tipo di patologia è contraddistinta dalla presenza di lesioni anche estese delle mucose, fungemia, e in alcuni casi anche da infezioni focali distribuite in diverse punti. In prevalenza si manifesta nella vagina e nel cavo orale, ma può interessare anche altri organi e tra questi l’intestino. Dobbiamo ricordare che la candida, sia di tipo vaginale, come orale, intestinale o di altra natura, è da considerarsi sempre contagiosa, anche nei confronti del partner maschile, di conseguenza è importante eliminarla prima di avere un rapporto sessuale non protetto.
Sintomi
Il sintomo più comune della Candida è costituito dalle perdite vaginali, che sono inodori e molto più dense rispetto altri tipi di perdite, con una consistenza lattiginosa. Spesso, ma non in tutti i casi, quando la Candida è piuttosto estesa, può portare anche un fastidioso prurito, bruciore alla minzione e anche dolore durante il rapporto sessuale. La parte esterna dei genitali può mostrarsi gonfia ed arrossata anche a causa del gesto di grattarsi in conseguenza del prurito.
Esami diagnostici
Non appena riscontriamo le prime perdite, specialmente se durano da giorni, insieme ai sintomi descritti, è necessario fissare una visita dal ginecologo per verificare se siamo realmente in presenza di una candidosi piuttosto che di un altro tipo di patologia eventualmente ancora più problematica. Il ginecologo specializzato può diagnosticare una candida anche soltanto ad occhio nudo ma, per avere una diagnosi precisa, è bene che faccia un esame approfondito con l’aiuto di un tampone. Molto spesso infatti la presenza della candida viene verificata quando si fa un Pap Test o anche un HPV Test tramite il tampone. Nel caso in cui la Candidosi sia in forma invasiva, sarà necessario procedere con esami specifici come gastroscopia, colposcopia e un esame del sangue accurato.
Terapia
Ad oggi vi sono numerosi rimedi “naturali” per curare la Candida ma è importante comprendere che questa patologia ginecologica non è soltanto un’infezione che causa bruciori e arrossamento ma un’infezione vera e propria da fungo e pertanto deve essere curata con farmaci antimicotici. Se non viene curata nel modo corretto può degenerare e causare problemi più seri estendendosi ad altri organi.
In genere, dunque, la cura migliore per la Candida albicans è quella costituita da antimicotici azolici che vanno assunti per alcuni giorni in base alla prescrizione del medico. Tali farmaci possono essere somministrati sotto forma di crema da applicare alla parte esterna oppure come “ovuli” da inserire in vagina. Sono anche disponibili delle speciali siringhe per introdurre più facilmente la crema nel canale vaginale.
L’amenorrea è l’assenza del ciclo mestruale. Si divide in due tipologie principali:
- Amenorrea primaria: la donna non ha mai avuto il ciclo mestruale fino all’età dei sedici anni;
- Amenorrea secondaria: il ciclo mestruale che fino a poco prima era presente più o meno regolarmente, si interrompe.
Sintomi
Il primo e più evidente sintomo dell’amenorrea è la scomparsa del ciclo mestruale. Possono esserci anche altre problematiche che differiscono a seconda dei casi, come la comparsa di acne, pelle e capelli più grassi, aumento della peluria sul corpo e anche sul viso, caduta dei capelli, sterilità e qualche volta anche galattorrea (liquido simile al latte che esce dai capezzoli).
Esami diagnostici
Lo specialista raccoglie le informazioni sulla storia della paziente e svolge una visita ginecologica, unita ad una ecografia transvaginale (se occorre anche addominale) così da osservare l’intero quadro relativo allo stato di salute dell’apparato riproduttivo e verificare l’effettivo funzionamento di utero e ovaie per escludere eventuali cause genetiche o malformazioni. A corredo dell’anamnesi si possono effettuare alcuni esami come il test di gravidanza (su urine o sangue), la valutazione del livello ormonale per mezzo di un prelievo del sangue, una isteroscopia (un tipo di esame endoscopico che ricerca la presenza di patologie dell’utero), e nei casi più complicati anche una risonanza magnetica della pelvi o una laparoscopia.
Terapia
Per trattare l’amenorrea dobbiamo necessariamente partire dalle cause. Spesso si osservano le dinamiche del ciclo mestruale e si attende che si normalizzi spontaneamente oppure, se la paziente non desidera una gravidanza, si prescrive la pillola contraccettiva. Per quelle pazienti che hanno problemi e squilibri legati all’alimentazione si va ad agire sul peso corporeo (recupero se sottopeso, o perdita se in eccesso). Se la paziente desidera una gravidanza e siamo in presenza di una amenorrea anovulatoria si procederà alla somministrazione di farmaci che agevolano la crescita follicolare controllando il tutto con ecografie in serie.
Se sono presenti problemi dell’ipofisi (come l’eccedente produzione di prolattina) oppure della tiroide, si procederà alla prescrizione di una terapia farmacologica specifica. Se invece il problema origina da una malformazione si valuterà se intervenire con la chirurgia.
L’atrofia vaginale, detta anche “vaginite atrofica” è una patologia ginecologica causata dall’assottigliamento della parete vaginale con conseguenti manifestazioni di secchezza, che riguarda in genere le donne in fase di menopausa e che è dovuta ad una minore produzione dei livelli di estrogeno.
Tale patologia porta spesso disturbi e dolore nel corso dei rapporti sessuali e problematiche dell’apparato urinario. Per questo tipo di correlazione (problemi a livello vaginale e del sistema urinario) l’atrofia vaginale viene annoverata tra i sintomi della sindrome genito-urinaria associata alla menopausa.
Sintomi
Con vari gradi di intensità i sintomi sono:
- secchezza e bruciore vaginale;
- perdite vaginali;
- prurito;
- bisogno di urinare e conseguente bruciore;
- concomitanza di altre infezioni nel tratto urinario;
- incontinenza urinaria;
- leggero sanguinamento nel corso dei rapporti sessuali;
- dolore e disagio durante i rapporti;
- restringimento del canale vaginale e diminuzione della lubrificazione della vagina.
Esami diagnostici
Per una corretta diagnosi occorrono:
- un esame accurato della pelvi da parte del medico (palpazione degli organi pelvici e dei genitali esterni ossia vagina e cervice dell’utero) per individuare eventuali prolassi che potrebbero enfatizzare il problema;
- analisi delle urine (specie nel caso in cui i sintomi si sviluppano all’interno del tratto urinario);
- rilevamento del pH vaginale, tramite un prelievo di fluido vaginale o l’applicazione di una striscia di carta apposita in vagina per valutare il grado di acidità.
Terapia
Il medico può prescrivere alcuni prodotti per dare sollievo alla paziente:
- una crema di tipo idratante con 2/3 applicazioni al giorno allo scopo di ripristinare la lubrificazione ottimale della zona vaginale. Lo scopo è quello di avere un effetto più a lungo termine rispetto ad un semplice prodotto lubrificante;
- applicazione di un prodotto lubrificante a base di acqua per limitare il disagio durante i rapporti sessuali. Occorre evitare di usare prodotti a base di glicerina, poiché in presenza di un’allergia tale sostanza può acuire forme di bruciore o causare irritazione;
- evitare anche il gel a base di derivati del petrolio se si usano profilattici, poiché in questo caso il lattice di cui è composto l’anticoncezionale si può rompere nel momento in cui viene a contatto con questo tipo di prodotto.
Nel caso in cui non si noti alcun miglioramento, possiamo usare questi metodi:
- utilizzare un estrogeno da applicare direttamente in vagina, soluzione che ha il vantaggio di poter funzionare efficacemente anche con piccole dosi e di mitigare con migliori risultati i sintomi rispetto ad un prodotto a base di estrogeni assunti per via orale;
- utilizzare un estrogeno da assumere per via orale che agisce distribuendosi in tutto l’organismo, ma in questo caso occorre che sia lo specialista a considerare i pro e i contro di questo tipo di scelta.
Le cisti ovariche sono delle sacche di dimensioni varie (di qualche centimetro), che si creano all’interno dell’ovaio e che contengono del liquido. Possono formarsi su un’ovaia soltanto oppure su entrambe. In genere non danno problemi, non portano disturbi o sintomi e nella maggior parte dei casi sono benigne. Di solito regrediscono in modo spontaneo nell’arco di alcuni mesi senza che si debba intervenire con terapie mediche o intervento chirurgico. È stato appurato che le cisti ovariche possono formarsi in qualunque periodo della vita della donna. Qualche volta compaiono addirittura nella fase intrauterina o subito dopo la nascita come risposta ad una spinta ormonale che deriva dalla madre.
Più spesso compaiono nella fascia di età puberale con lo sviluppo sessuale e nella fase adolescenziale, momento in cui gli ormoni non si sono ancora regolarizzati, nello specifico gli anni subito dopo la comparsa del menarca.
Sintomi
Poiché le cisti ovariche non danno particolari disturbi e non sono segnalate da sintomi, si individua la loro presenza tramite analisi o esami effettuati per valutare altre patologie o per prevenzione. Infatti solo le cisti di grandi dimensioni (che superano i 5 cm di diametro) hanno la possibilità di creare disagio.
Tuttavia, i sintomi più comuni che possono far pensare alla presenza di una ciste ovarica sono:
- dolore intenso durante il rapporto sessuale, e/o in generale dolore spesso leggero e profondo con sensazione di peso nella zona della pelvi;
- problemi nello svuotare completamente la vescica;
- sensazione di dover urinare spesso;
- gonfiore dell’addome.
In alcuni casi le cisti ovariche possono comparire unitamente a squilibri ormonali che producono un andamento irregolare del ciclo mestruale. Nel caso in cui invece si verifichi una strozzatura o una rottura della cisti, può comparire un dolore improvviso, acuto e forte.
Esami diagnostici
Lo specialista che si occupa di gestire le cisti ovariche è il ginecologo. Il medico procede dunque eseguendo una visita ginecologica accurata e un’ecografia atte a individuare la presenza di eventuali cisti per avere così modo di valutare in seguito eventuali altri esami di controllo per verificare se la ciste è regredita in modo spontaneo. In qualche raro caso potrebbero, infatti, essere necessari altri esami di controllo per approfondire la situazione della paziente, oppure si può optare per un intervento chirurgico a discrezione del ginecologo. L’esame diagnostico più comune resta in ogni caso un’ecografa transvaginale.
Terapia
Fino a qualche tempo fa le cisti ovariche venivano curate tramite terapia ormonale, in seguito è stato scoperto che la remissione della ciste poteva avvenire sia tramite la terapia ormonale sia senza. Ad oggi la metodologia di tipo ormonale viene applicata alle donne in giovane età che presentano cisti ordinarie e che desiderano utilizzare l’anticoncezionale. Infatti la pillola anticoncezionale in questi casi ha sia il pregio di evitare una gravidanza sia la funzione facilitativa nel riassorbimento della ciste. Le cisti ovariche di questo tipo non hanno necessità di terapie specifiche ma devono essere soltanto controllate periodicamente per verificare la loro regressione.
Il sanguinamento vaginale che si manifesta in modo irregolare, che dura più del dovuto ed è abbondante viene definito “sanguinamento uterino anomalo”. La forma più comune di questa patologia ginecologica è causata da cambiamenti dei valori ormonali del ciclo i quali vanno ad influire sull’ovulazione. Tale disturbo viene identificato anche come disfunzione ovulatoria (AUB-O).
Sintomi
Questo tipo di sanguinamento si differenzia dalle normali mestruazioni per le caratteristiche che seguono:
- il flusso è più frequente (meno di 21 giorni, polimenorrea);
- più frequente e irregolare all’interno dei due cicli (metrorragia);
- il flusso di sangue è più abbondante ma l’intervallo è regolare (menorragia);
- maggiore perdita di sangue e maggiore frequenza oltre a irregolarità fra un ciclo e l’altro (menometrorragia).
Per alcune donne al sanguinamento si accompagnano anche i classici sintomi delle mestruazioni come gonfiore, crampi e tensione ai seni. Nel caso in cui il sanguinamento continui, è possibile che la donna sviluppi una carenza di ferro o che compaia l’anemia oltre che sterilità.
Esami diagnostici
Per diagnosticare correttamente il sanguinamento anomalo occorre procedere come segue:
- analizzare la storia clinica della paziente per escludere altre cause di sanguinamento anomalo;
- realizzare un emocromo con formula;
- effettuare un test di gravidanza;
- analisi del dosaggio ormonale;
- effettuare un’ecografia transvaginale con biopsia endometriale;
- all’occorrenza effettuare sonoisterografia e/o isteroscopia.
Le cause del sanguinamento uterino anomalo possono essere:
- disfunzioni agli organi riproduttivi (ad esempio sindrome dell’ovaio policistico);
- presenza di escrescenze nell’utero (polipi, fibromi o tumori);
- problemi di coagulazione;
- disfunzioni della tiroide;
- disfunzioni dell’ipofisi;
- probabile endometriosi;
- probabile gravidanza;
- eventuali problemi della gravidanza;
- utilizzo di contraccettivi orali o di altri farmaci.
Per valutare con certezza se siamo in presenza di un sanguinamento anomalo, il ginecologo raccoglie informazioni sulle sue specifiche così da escludere potenziali cause di altro tipo.
Terapia
Per risolvere il problema del sanguinamento uterino anomalo in genere si procede con:
- un farmaco che gestisca e controlli il sanguinamento;
- se il sanguinamento prosegue si procede con un intervento volto a tenerlo sotto controllo.
Per stabilire in che modo trattare il sanguinamento uterino anomalo dobbiamo considerare questi aspetti:
- l’età della donna;
- la quantità (più o meno copiosa) di emorragia;
- se è presente o meno un ispessimento dell’epitelio dell’utero;
- l’eventuale intenzione della donna di avere una gravidanza.
Il trattamento dunque si focalizzerà sulla gestione del sanguinamento e, se necessario, anche su una prevenzione del tumore endometriale. Per controllare il sanguinamento si possono utilizzare farmaci a base ormonale e non, in base alla situazione che il ginecologo valuterà insieme alla paziente.
Il fibroma uterino, chiamato anche leiomioma o più semplicemente mioma, è un tumore benigno dell’utero piuttosto diffuso. Questa malattia ginecologica interessa circa il 30% delle donne anche se, in genere, non presenta alcun sintomo.
Sintomi
Nel caso siano presenti dei sintomi, quelli che definiscono il fibroma sono:
- ciclo mestruale più abbondante e/o doloroso;
- perdita di sangue tra un ciclo e l’altro;
- maggiore frequenza nella minzione;
- dolore durante il rapporto sessuale;
- dolore alla parte lombare alla schiena;
- gonfiore e stitichezza;
- disturbi dell’apparato riproduttivo (infertilità, interruzione di gravidanza o parto prematuro).
Questi disturbi si verificano spesso nelle donne in età fertile e più presenti nelle donne affette da obesità ma ancora non è stata identificata la causa precisa.
Esami diagnostici
A volte la diagnosi del fibroma uterino avviene per caso. Spesso emerge durante una visita ginecologica o un’ecografia fatta per controllo. Possono essere somministrati farmaci per rallentarne la crescita e, nel caso questa soluzione non fosse risolutiva, si può ricorrere a un intervento chirurgico vero e proprio.
Terapia
In genere le pazienti che hanno un fibroma uterino senza che sia presente nel contempo alcun tipo di sintomo o disagio non devono ricorrere ad alcuna terapia ma soltanto monitorare regolarmente la situazione per controllare l’eventuale crescita o meno del fibroma. Il medico, prima di proporre qualunque tipo di soluzione o terapia, dovrà necessariamente valutare nel complesso la situazione della paziente. Ovviamente la terapia farmacologica è applicata più di frequente ma sarà il medico, una volta esaminata con cura la situazione, a decidere per il meglio.
La gravidanza extrauterina (detta anche ectopica), avviene quando l’embrione si colloca al di fuori dell’utero. Questo tipo di gravidanza presenta un problema in quanto solo l’utero è programmato per avviare una trasformazione e accogliere l’embrione durante la sua crescita. Per questo la gravidanza extrauterina è in genere valutata sempre negativamente per l’embrione, che purtroppo non sopravvive. Inoltre, mano a mano che la gravidanza extrauterina va avanti, c’è il pericolo che la tuba o altri organi a cui si è innestata, si rompano. Questa eventualità è senza dubbio molto pericolosa per la mamma perché potrebbe causare un’emorragia interna con implicazioni molto critiche.
Fortunatamente, molto spesso questo tipo di gravidanza si interrompe sul nascere in modo spontaneo. Nel caso in cui ciò non avvenga spontaneamente, si può agire in modo preventivo per bloccarla. Effettuare una diagnosi precoce permette di avere risultati positivi e diminuisce sensibilmente i casi in cui si può rompere la tuba, per questo il rischio di mortalità è molto basso.
Sintomi
La gravidanza extrauterina si manifesta a tutti gli effetti come una normale gravidanza: assenza del ciclo mestruale, seno dolorante, nausea e necessità frequente di urinare. In aggiunta possono esserci anche altri sintomi come:
- dolori associati a crampi alla pelvi di varia intensità a volte da un solo lato;
- mal di schiena, nello specifico alla lombare;
- perdite ematiche.
Nel caso in cui non compaiano sintomi non possiamo affermare con certezza che la gravidanza extrauterina scompaia in modo spontaneo perché potrebbe, infatti, progredire e svilupparsi comunque.
Esami diagnostici
Gli esami diagnostici sono principalmente l’ecografia e una valutazione dei livelli di ormone Beta-hCG con un esame del sangue.
Terapia
Come terapia il medico ha a disposizione tre opzioni, da adottare in base alla situazione che ha riscontrato:
- La procedura d’attesa
Nel caso classico di gravidanza extrauterina, quello più semplice si sceglie la “procedura di attesa”, ovvero non si agisce e si aspetta che si estingua in modo spontaneo. L’efficacia di questa opzione si è riscontrata nel 70% dei casi. Per avere la certezza che la cosa sia risolta devono essere eseguiti degli esami di controllo fino alla conferma che la gravidanza extrauterina si sia conclusa definitivamente.
- Il trattamento medico
Nel caso in cui, dopo un lasso di tempo utile, i valori dell’ormone Beta-hCG non si abbassino, occorre fare ricorso ad un trattamento medico più specifico dove saranno somministrati farmaci che inibiscono la replicazione cellulare. Tale intervento permette la rimozione della gravidanza entro 4 o 6 settimane. Questo tipo di soluzione si addice a situazioni in cui la gravidanza è all’inizio o poco sviluppata e quando la paziente non abbia dolori o rischio di emorragia interna.
- Il trattamento chirurgico
Per tutti gli altri casi, o nell’eventualità che non possa essere somministrata la terapia farmacologica, si rende necessario intervenire chirurgicamente. Nel caso in cui l’intervento venga fatto in urgenza si può intervenire con la laparotomia (incisione dell’addome), mentre per il 95% dei casi è possibile in genere usare la laparoscopia, ovvero un piccolo intervento poco invasivo che utilizza 2 o3 incisioni di pochi millimetri per operare.
La sindrome dell' ovaio policistico è considerata uno dei più frequenti disturbi ginecologici di tipo endocrino nella donna che si trova ancora in età riproduttiva. Si contraddistingue per la presenza di alterazioni dell’ovulazione, iperandrogenismo (livelli alti di ormoni androgeni nel sangue con la conseguente comparsa di peluria, acne o alopecia) e ovaie di tipo policistico (identificate tramite l’ecografia). La sua presenza può portare conseguenze di tipo metabolico oltre che problematiche all’apparato riproduttivo.
Sintomi
La paziente affetta da sindrome dell’ovaio policistico presenta irregolarità nelle mestruazioni, evidenza di iperandrogenismo, problematiche legate alla insulino-resistenza con problemi nella perdita di peso. Tali sintomi possono comparire successivamente alla prima mestruazione oppure aumentare nel corso del tempo. Anche se la situazione clinica generale può apparire diversa, possiamo però affermare con certezza che l’obesità è uno dei fattori che complica la situazione.
Esami diagnostici
Gli esami diagnostici per l’ovaio policistico maggiormente utili sono:
- una visita ginecologica in cui il medico ricostruisce la storia clinica complessiva della donna (anamnesi del ciclo mestruale, storia riproduttiva e valutazione della presenza eventuale di iperandrogenismo);
- prescrizione di una ecografia transvaginale per controllare la salute delle ovaie;
- esame dei dosaggi ormonali, tramite un prelievo di sangue, per controllare il livello degli androgeni nel sangue;
Più la diagnosi è precoce e più aumenta la possibilità di intervenire con successo per evitare complicazioni anche a lungo termine tra le quali possono esserci tumore dell’endometrio, ipertensione, insulino-resistenza, diabete di tipo 2 e coronaropatia.
Terapia
La terapia per l’ovaio policistico varia ovviamente in base al quadro clinico della paziente e alla sua eventuale decisione di avere una gravidanza.
Per risolvere gli squilibri del ciclo mestruale, i problemi di acne e l’irsutismo si può prescrivere l’assunzione della pillola anticoncezionale a base di estrogeni e progesterone. Se la paziente invece desidera una gravidanza, dovrà essere prescritta una terapia specifica che possa ricostruire l’ovulazione corretta e occorrerà anche cercare di ripristinare un quadro metabolico ottimale. Per le pazienti affette da obesità o con un aumento di peso importante, il suggerimento è quello di adottare una dieta mirata e contemporaneamente iniziare esercizio fisico costante.
I polipi endometriali sono formazioni anomale che si incardinano nella cavità uterina. Sono diversi dal fibroma in quanto quest’ultimo origina dalla muscolatura e pertanto possono comparire in un punto qualsiasi all’interno dell’utero, all’esterno e all’interno della parete. I polipi invece originano proprio dal rivestimento dell’utero. Possono variare per dimensione (millimetri o centimetri) e possono essercene uno o più e normalmente sono collocati nella parte alta dell’utero come il classico polipo al collo dell’utero. Questo disturbo riguarda le donne tra i 40 e i 50 anni ed è raro che si verifichi prima della menopausa. In ogni caso, il rischio di sviluppare un polipo endometriale aumenta con l’aumentare dell’età. Poiché molto spesso i sintomi del polipo endometriale non sono riscontrabili, risulta complicato capire se la paziente ne è affetta.
Tra i più comuni sintomi del polipo endometriale c’è un anomalo sanguinamento dell’utero. Tale sanguinamento può avvenire:
- tra una mestruazione e l’altra;
- con mestruazioni irregolari e abbondanti (o metrorragia);
- con emorragia post-coitale (cioè con un sanguinamento dopo un rapporto sessuale);
- con sanguinamento che si verifica dopo la menopausa.
In alcune occasioni possono comparire anche forti crampi nel corso della mestruazione (dismenorrea).
Esami diagnostici
La diagnosi per identificare i polipi endometriali può essere effettuata tramite una ecografia transvaginale e isteroscopia. Con la prima si identifica la formazione anomala riconoscendone la forma tondeggiante o allungata all’interno dell’utero. Con la seconda possiamo visualizzare direttamente il polipo.
Terapia
La terapia più efficace per la rimozione dei polipi endometriali è utilizzare il resettoscopio, uno strumento che permette di analizzare con attenzione l’utero e in contemporanea di operare. Sulla sommità del resettoscopio c’è un incavo che consente di rimuovere i polipi per inviarli poi al laboratorio di analisi. Se si tratta di un polipo endometriale dalle dimensioni contenute non è richiesto alcun tipo di trattamento, tuttavia in alcuni casi il medico può suggerire la rimozione del polipo per scongiurare una patologia più aggressiva ed eliminare eventuali problematiche in merito alla fertilità.
Dunque la chirurgia è l’unico modo per eliminare i polipi endometriali e l’intervento non è assolutamente invasivo al punto che, grazie alle nuove tecnologie, il medico può operare anche in day-hospital per cui non è necessario che la paziente si ricoveri in ospedale e, in poco tempo, può tornare a casa senza difficoltà per osservare un periodo di riposo.
Si definisce “minaccia d’aborto” un sanguinamento che avviene per lo più:
- nel corso di una gravidanza identificata come vitale (tramite ecografia);
- in assenza di dilatazione della cervice;
- nel periodo antecedente alla ventesima settimana.
Si tratta di una situazione piuttosto frequente anche se le casistiche sono variabili. Si stima che questa patologia ginecologica interessi una donna su quattro e che di queste una su due si ritrovi ad affrontare un aborto spontaneo.
Sintomi
La minaccia d’aborto si manifesta con perdite ematiche vaginali più o meno abbondanti e prolungate nel tempo. Possono essere presenti anche dolori di diversa intensità che si manifestano come crampi a intermittenza, dolori all’altezza del pube, sensazione di pesantezza alla pelvi oppure dolore alla parte lombare della schiena.
Esami diagnostici
La classificazione della diagnosi per la minaccia d’aborto è di tipo clinico, cioè basata sul controllo delle perdite ematiche nella donna incinta in base ai parametri che abbiamo appena riportato.
In alcuni casi l’ecografia può mostrare aree di parziale distacco amniocoriale (cioè tra il sacco amniotico che contiene l’embrione o feto e il sacco coriale che riguarda la placenta) oppure evidenziare ematomi sottocoriali (che non comportano un possibile distacco della placenta che può verificarsi più avanti a fine gestazione con un forte sanguinamento).
In altri casi si è visto che l’ecografia non rileva nessun tipo di anomalia né accumulo di sangue per cui si può ipotizzare che le perdite ematiche abbiano origine nel collo uterino. L’ecografia infatti è molto utile anche per togliere dubbi sulla possibilità di trovarsi in presenza di una gravidanza extrauterina la quale ha sintomi compatibili e a volte sovrapponibili con quelli sopra elencati.
Terapia
In genere la minaccia d’aborto non rende necessaria l’adozione di una terapia ma, in base al parere del ginecologo, in alcuni casi si può:
- prescrivere la somministrazione di progesterone (che riduce le contrazioni uterine e agevola il rinforzo delle membrane almeno nel primo trimestre) con la raccomandazione di evitare attività fisiche troppo intense;
- prescrivere riposo a letto per rilassare la muscolatura dell’utero (ultimamente il riposo assoluto è stato considerato controindicato ma occorre valutare comunque caso per caso);
- somministrare eventualmente antidolorifici mirati a portare sollievo alla sintomatologia dolorosa nel caso sia presente.
Il medico può prescrivere anche l’acido folico, un multivitaminico e altri farmaci che devono continuare ad essere assunti con regolarità.
Le donne che si avvicinano alla menopausa cominciano ad avere i primi sintomi ancora prima che il ciclo scompaia definitivamente. Questo lasso di tempo è definito pre-menopausa e in genere si presenta con una irregolarità nel ciclo accompagnata da un flusso che può modificarsi in più o meno frequente e abbondante. Anche se in presenza di un ciclo irregolare, in questo periodo di pre-menopausa c’è la possibilità di rimanere incinta quindi è consigliato utilizzare le dovute precauzioni e se vi è qualche dubbio meglio eseguire un test di gravidanza.
Oltre all’irregolarità del ciclo mestruale possono emergere anche altri disagi che sono in stretta correlazione con il calo degli estrogeni e che possono permanere per vari anni anche dopo la scomparsa del ciclo. Questi disturbi possono essere:
- caldane, forte sudorazione, brusco arrossamento del viso;
- insonnia causata dalle sudorazioni;
- disturbi nelle parti intime (prurito, sensazione di secchezza, dolore durante i rapporti);
- frequenti infezioni del tratto urinario, cistiti.
Vi sono poi altri disturbi che possono presentarsi ma che non sono direttamente associabili alla minore produzione di estrogeni:
- instabilità umorale, irritabilità, depressione, ansia;
- diminuzione del desiderio e soddisfazione sessuale;
- problemi di memoria;
- dolori ai muscoli, mal di schiena, senso di affaticamento.
Qualunque sintomo, seppure lieve, è assolutamente da considerare e deve essere valutato insieme al proprio medico.
L’endometriosi è la presenza di endometrio, mucosa che normalmente riveste esclusivamente la cavità uterina, all’esterno dell’utero e può interessare la donna già alla prima mestruazione (menarca) e accompagnarla fino alla menopausa.
Gli studi istologici hanno evidenziato che l’endometrio nella endometriosi è simile all’endometrio normale. È caratterizzato dalla presenza di recettori ormonali, come l’endometrio normale, ma ha un’alta capacità di adesività che gli permette di aderire a strutture extrauterine, come le sedi in cui l’endometriosi si sviluppa. Sebbene sia ritenuta una patologia dell’età riproduttiva, sono descritti rari casi di endometriosi anche in postmenopausa, soprattutto in donne che stiano assumendo trattamenti ormonali sostitutivi.
Almeno 3 milioni le donne con diagnosi conclamata
In Italia sono affette da endometriosi il 10-15% delle donne in età riproduttiva; la patologia interessa circa il 30-50% delle donne infertili o che hanno difficolta a concepire. Le donne con diagnosi conclamata sono almeno 3 milioni.
Il picco si verifica tra i 25 e i 35 anni, ma la patologia può comparire anche in fasce d'età più basse. La diagnosi arriva spesso dopo un percorso lungo e dispendioso, il più delle volte vissuto con gravi ripercussioni psicologiche per la donna.
Ginecologia per la Menopausa
La Menopausa non è una malattia ma un momento fisiologico della vita della donna, che coincide con il termine della sua fertilità, collocabile generalmente tra i 45 e 55 anni di età, ma non sono rare menopause precoci e tardive.
In questo periodo della vita alcune donne accusano alcuni disturbi determinati da alterazioni del ciclo mestruale (mestruazioni ravvicinate e abbondanti oppure più distanziate tra di loro); nello stesso periodo le ovaie cessano la loro attività e, di conseguenza, diminuisce nel sangue la quantità degli estrogeni, cioè di quegli ormoni prodotti fino allora dalle ovaie.
Quando si riduce la quota degli estrogeni nel sangue, la donna è più esposta al rischio di alcune malattie?
La diminuzione degli estrogeni può provocare alcuni disturbi e sintomi, sia di natura neurovegetativa (vampate di calore, sudorazioni profuse, palpitazioni e tachicardia, sbalzi della pressione arteriosa, disturbi del sonno, vertigini, secchezza vaginale e prurito genitale), sia di natura psicoaffettiva (irritabilità, umore instabile, affaticamento, ansia, demotivazione, disturbi della concentrazione e della memoria, diminuzione del desiderio sessuale).
Calo degli Estrogeni e conseguenti disturbi
Le conseguenze più importanti del calo degli estrogeni sono: l'aumento del rischio cardiovascolare (infarto cardiaco, ictus cerebrale, ipertensione) e le patologie osteoarticolari, in particolare l’aumento dell’incidenza dell’osteoporosi. Fino alla menopausa, infatti, le donne hanno un rischio cardiovascolare inferiore a quello degli uomini perché gli estrogeni prodotti dalle ovaie garantiscono una minore quantità di colesterolo nel sangue. Le malattie cardiovascolari rappresentano, inoltre, la principale causa di morte per la donna in menopausa, superando di gran lunga tutte le forme di neoplasie, compreso il cancro della mammella.
Non dobbiamo inoltre sottovalutare l’aumento del peso corporeo, che si verifica in misura variabile in tutte le donne in menopausa e rappresenta un problema in più del 50% delle donne oltre i 50 anni. La carenza estrogenica condiziona, insieme all’età, un rallentamento del metabolismo in generale e aumenta l’appetito con una distribuzione del grasso corporeo “a mela”, cioè a livello della cintura, una sede tipica del sesso maschile, che comporta maggior rischio cardio-vascolare.
La prevenzione delle complicanze cardiovascolari e osteoarticolari può essere messa in atto fin da subito. Come prima mossa occorre seguire un regime dietetico controllato.Nella scelta degli alimenti è bene privilegiare quelli integrali, poiché più ricchi di fibra alimentare, vitamine e sali minerali. Il principio guida deve essere la varietà con moderazione, tagliando fuori i grassi in eccesso e i cibi troppo salati, bevendo almeno 25 ml di acqua per kg corporeo e privilegiando le spezie.
Per quanto riguarda il trattamento dei sintomi, è essenziale identificare una terapia appropriata e personalizzata in base alle esigenze della donna. Tra le varie terapie utili a risolvere i sintomi connessi alla menopausa, la terapia ormonale sostitutiva può essere d'aiuto e, contemporaneamente, proteggere nei confronti dell’osteoporosi e delle malattie cardiovascolari, se somministrata correttamente, dopo un accurato esame clinico della paziente. Il medico dovrebbe sempre valutare il rapporto rischio/beneficio quando prescrive una terapia alla donna con disturbi in menopausa, in modo da aiutare la donna stessa ad operare una scelta informata.
Per molte donne, infatti, un'appropriata terapia ormonale, pianificata e monitorata con cura, può aumentare la vita media e migliorare, in modo significativo, la qualità di vita degli anni postmenopausali. È infatti possibile rendere prevenibili le patologie cronico-degenerative, le loro complicanze e i tumori.
Endometriosi
L’endometriosi è una malattia ginecologica che interessa il tessuto del rivestimento dell’utero che cresce e si ispessisce anche all’esterno. Questo può provocare dolore alla pelvi e irregolarità nel ciclo mestruale. Il ginecologo specializzato può sicuramente indicare il protocollo più idoneo per il superamento di questa patologia ginecologica, che può essere così risolta nell’arco di qualche mese. In genere l’endometriosi colpisce le donne di età compresa tra i 18 e i 35 anni e l’ereditarietà può aumentare la probabilità di contrarla.
Sintomi
I sintomi dell’endometriosi possono essere:
- ciclo mestruale doloroso;
- dolore persistente nella parte lombare della schiena e in corrispondenza del bacino;
- dolore e disagio durante il rapporto sessuale;
- dolore all’intestino o sensazione dolorosa alla minzione nel periodo del ciclo mestruale;
- infertilità appurata.
Inoltre possono anche presentarsi costipazione, gonfiori, nausea, diarrea specie durante il ciclo mestruale. Nel caso in cui i sintomi si aggravino o siano persistenti è indispensabile contattare il medico.
Esami diagnostici
Gli esami diagnostici indicati sono:
- analisi della pelvi ed esame manuale del bacino per identificare eventuali irregolarità, per esempio cisti o cicatrici sul retro dell’utero;
- ecografia per identificare eventuali cisti collegate all’endometriosi;
- laparoscopia, utile per verificare sia la posizione sia l’estensione e la grandezza dell’endometriosi.
Terapia
L’endometriosi può essere risolta con una terapia a base di farmaci o, nei casi più complessi, grazie all’intervento chirurgico. La terapia ormonale può rivelarsi utile per diminuire o eliminare il dolore causato dal disturbo.
Infertilità femminile
L’infertilità della donna viene verificata nel caso in cui la paziente non riesca a rimanere incinta nell’arco di uno o due anni di periodo fertile, nonostante le condizioni siano ottimali per il concepimento. Questo disturbo interessa circa il 15% delle donne. Con l’aumento dell’età, per la donna, aumenta anche progressivamente la perdita di capacità riproduttiva.
Cause
Le motivazioni che stanno alla base dell’infertilità femminile sono molte. Possono esserci malformazioni congenite, alterazioni ormonali, disturbi dell’apparato riproduttivo, infezioni. Quando invece non si riesca ad individuare una causa precisa neppure tramite esami specifici si parla di “infertilità idiopatica”.
Esami diagnostici
Gli esami più indicati per verificare l’infertilità femminile in una diagnosi relativa all’infertilità di coppia sono i seguenti:
- valutazione dei dosaggi ormonali;
- un tampone vaginale, per valutare se sia presente un’infezione in vagina o collo dell’utero;
- una ecografia pelvica transvaginale, per controllare lo stato dell’apparato riproduttivo della donna;
- una isterosonografia, per valutare lo stato di salute della cavità uterina e la capacità di far passare i liquidi nelle tube tramite l’iniezione di soluzione salina sterile;
- una ecografia tridimensionale dell’utero, esame che consente di individuare eventuali malformazioni di quest’organo;
- un’isterosalpingografia, esame radiologico specifico che serve a valutare la pervietà delle tube e consente l’individuazione di varie patologie congenite o comparse nel tempo dell’utero;
- un’isteroscopia, esame endoscopico che tramite una sonda con telecamera consente una visione precisa e diretta della cavità dell’endometrio per identificare eventuali patologie;
- una laparoscopia, piccolo intervento chirurgico che consente di esplorare l’addome con il laparoscopio collegato ad una telecamera. Con la laparoscopia, si può analizzare la struttura anatomica dell’utero e degli organi annessi per valutare con precisione il da farsi.
Terapia
Per trattare l’infertilità femminile occorre conoscere con precisione le cause da cui origina. Si rende necessario, dunque, approfondire la parte diagnostica nel modo più approfondito possibile per poter agire in modo mirato.
Patologie della gravidanza
Vediamo adesso le più comuni patologie legate alla gravidanza, che possiamo quindi includere nelle malattie ginecologiche. Le malattie e i disturbi legati alla gravidanza sono davvero numerosi e difficilmente possono essere semplificati. Passiamo comunque ad esaminare le patologie più diffuse e, nello specifico, quali procedure utilizzare per affrontarle nel modo migliore consultandoci con lo specialista di fiducia.
Minaccia d’aborto
Si definisce “minaccia d’aborto” un sanguinamento che avviene per lo più:
- nel corso di una gravidanza identificata come vitale (tramite ecografia);
- in assenza di dilatazione della cervice;
- nel periodo antecedente alla ventesima settimana.
Si tratta di una situazione piuttosto frequente anche se le casistiche sono variabili. Si stima che questa patologia ginecologica interessi una donna su quattro e che di queste una su due si ritrovi ad affrontare un aborto spontaneo.
Sintomi
La minaccia d’aborto si manifesta con perdite ematiche vaginali più o meno abbondanti e prolungate nel tempo. Possono essere presenti anche dolori di diversa intensità che si manifestano come crampi a intermittenza, dolori all’altezza del pube, sensazione di pesantezza alla pelvi oppure dolore alla parte lombare della schiena.
Esami diagnostici
La classificazione della diagnosi per la minaccia d’aborto è di tipo clinico, cioè basata sul controllo delle perdite ematiche nella donna incinta in base ai parametri che abbiamo appena riportato.
In alcuni casi l’ecografia può mostrare aree di parziale distacco amniocoriale (cioè tra il sacco amniotico che contiene l’embrione o feto e il sacco coriale che riguarda la placenta) oppure evidenziare ematomi sottocoriali (che non comportano un possibile distacco della placenta che può verificarsi più avanti a fine gestazione con un forte sanguinamento).
In altri casi si è visto che l’ecografia non rileva nessun tipo di anomalia né accumulo di sangue per cui si può ipotizzare che le perdite ematiche abbiano origine nel collo uterino. L’ecografia infatti è molto utile anche per togliere dubbi sulla possibilità di trovarsi in presenza di una gravidanza extrauterina la quale ha sintomi compatibili e a volte sovrapponibili con quelli sopra elencati.
Terapia
In genere la minaccia d’aborto non rende necessaria l’adozione di una terapia ma, in base al parere del ginecologo, in alcuni casi si può:
- prescrivere la somministrazione di progesterone (che riduce le contrazioni uterine e agevola il rinforzo delle membrane almeno nel primo trimestre) con la raccomandazione di evitare attività fisiche troppo intense;
- prescrivere riposo a letto per rilassare la muscolatura dell’utero (ultimamente il riposo assoluto è stato considerato controindicato ma occorre valutare comunque caso per caso);
- somministrare eventualmente antidolorifici mirati a portare sollievo alla sintomatologia dolorosa nel caso sia presente.
Il medico può prescrivere anche l’acido folico, un multivitaminico e altri farmaci che devono continuare ad essere assunti con regolarità.
Ipertensione in gravidanza
Nel corso della gravidanza, almeno una donna su dieci può mostrare un aumento a carico della pressione sanguigna. Questa condizione, nota come ipertensione gestazionale, può portare ad alcune complicazioni sia per la mamma che per il bambino ma in genere è controllata e gestita in toto dal ginecologo. Tendenzialmente però dovrebbe essere seguita sia prima che dopo il parto anche dal proprio medico curante.
Sintomi
Un innalzamento della pressione durante il periodo della gestazione è segnalato da alcuni sintomi strettamente connessi:
- mal di testa continuo;
- offuscamento della vista e sensibilità alla luce;
- gonfiore del viso e delle mani, in alcuni casi anche dei piedi;
- dolori all’addome.
Questi disagi, in ogni caso, possono avere origine da altri disturbi, così come sono presenti in gravidanze del tutto regolari. Qualche indicazione in più può essere ricavata da altri esami clinici:
- aumento della pressione sanguigna;
- aumento della percentuale delle proteine nell’urina (proteinuria).
Esami diagnostici
La diagnosi più semplice per l’ipertensione in gravidanza è dunque la misurazione della pressione del sangue in base alle regole prescritte. Questo consente di escludere a priori la possibilità di una ipertensione momentanea e transitoria cioè forme non croniche di ipertensione.
Terapia
Nelle pazienti con ipertensione cronica in gravidanza, sono raccomandate le stesse linee guida sul controllo della pressione, dell’alimentazione e dello stile di vita delle donne che non sono in stato interessante. Quindi possiamo dire che in generale è indispensabile controllare il proprio peso corporeo, visto che risulta essere uno dei fattori di rischio, fare regolare esercizio fisico, se si è fumatrici smettere di fumare e curare molto l’alimentazione riducendo il sale.
Occorre prestare molta attenzione nell’assunzione di farmaci contro l’ipertensione per i quali devono essere considerati anche gli effetti collaterali sul nascituro. Il medico saprà indicare la scelta migliore.
Preeclampsia
La preeclampsia è più nota come “gestosi” ed è una complicazione specifica della gravidanza che presenta qualche rischio per la salute della mamma e del bambino. Nella sola Europa questa patologia coinvolge tra il 2 e il 5% delle donne in gravidanza. Nondimeno il considerevole aumento dell’età in cui la donna ha la sua prima gravidanza, una forte obesità e una più alta percentuale delle malattie croniche come il diabete, stanno determinando un consistente aumento di questa patologia.
Per alcuni aspetti la preeclampsia presenta le stesse caratteristiche dell’ipertensione gestazionale ma, nel caso della preeclampsia, abbiamo anche un coinvolgimento del rene insieme all’ipertensione.
Sintomi
In genere la preeclampsia fa la sua comparsa intorno alla ventesima settimana della gravidanza. Più di frequente si manifesta successivamente alle 24/26 settimane. A volte, anche se raramente, si verifica nelle sei settimane successive al parto.
I sintomi più comuni possono essere all’inizio anche moderati e comprendono:
- emicrania;
- vista annebbiata o anche lampi visivi laterali;
- senso di nausea con vomito;
- dolore al di sotto delle costole;
- dolori al fegato;
- tremito alle mani;
- eccessivo incremento del peso corporeo (ad esempio più di cinque chili nell’arco di pochi giorni).
Nel caso in cui compaiano tali disturbi è indispensabile avvisare prontamente il medico. Nonostante nella stragrande maggioranza dei casi la preeclampsia non causa altre complicanze e in genere migliori dopo il parto, c’è sempre l’eventualità che possano verificarsi problemi severi sia per la mamma che per il bambino.
Esami diagnostici
La preeclampsia può presentarsi improvvisamente o mostrarsi in pazienti che avevano pressione alta già prima della gravidanza o comparsa durante la gestazione. I segnali da tenere sotto controllo sono:
- pressione arteriosa alta;
- presenza di alta concentrazione di proteine nelle urine (proteinuria).
Terapia
La terapia migliore e risolutiva per la preeclampsia risulta essere il parto. Proprio per questo è importante che la paziente affetta da questa patologia sia costantemente controllata fino a quando non nasce il bambino. In presenza di un caso sospetto di questa patologia la donna può essere anche ricoverata e, nel caso sia confermata la preeclampsia, si dovrà procedere con alcuni esami per accertamenti:
- controllo regolare della pressione arteriosa;
- esami regolari delle urine per verificare la presenza di proteine;
- analisi del sangue, per controllare la funzionalità di reni e fegato;
- verifica dello stato del bambino, tramite ecografia per controllare il flusso sanguigno attraverso la placenta, per misurare la crescita del feto e valutarne i movimenti e, a seconda della settimana di gravidanza in cui si trova, effettuare anche una cardiotocografia.
Diabete in gravidanza
Il diabete è una patologia che si evolve nel tempo diventando cronica e che causa nella persona che ne soffre un forte aumento degli zuccheri (glucosio) nel sangue oltre i valori normali. Parliamo di diabete gestazionale quando alla donna incinta viene accertato il diabete nel secondo o terzo trimestre della gravidanza. In genere la casistica ci dice che questa condizione si verifica nel 18% circa delle donne in gravidanza. Definiamo invece il diabete pre-gestazionale quando la donna è già affetta da diabete e ha in seguito una gravidanza.
Sintomi
I sintomi del diabete gestazionale non sono molto evidenti, quindi la diagnosi normalmente si fa attraverso dei controlli di routine che vengono eseguiti durante la gravidanza. Nel caso in cui i sintomi si manifestino possiamo parlare di:
- bisogno di bere spesso;
- bisogno di urinare spesso o più di frequente rispetto alla norma;
- senso di bocca asciutta;
- stanchezza.
Poiché alcuni di questi sintomi sono comuni in gravidanza, non indicano necessariamente la presenza della malattia. Sarà determinante informare il proprio ginecologo se si riscontra la presenza di questi disturbi.
Esami diagnostici
Quando la donna intraprende una gravidanza è importante determinare se una potenziale presenza di diabete sia precedente alla gravidanza come pure la possibilità che la paziente abbia sviluppato un diabete gestazionale.
Si procederà dunque con la misurazione della glicemia a digiuno e dell’emoglobina glicata. Nel caso i livelli di glicemia siano superiori ai valori normali si dovrà procedere con un secondo prelievo e, se confermati, si dovrà procedere con la diagnosi per diabete. Se non si ha conferma del diabete in modo manifesto ma compare almeno uno tra i fattori di rischio di seguito elencati occorre necessariamente fare un test di tolleranza al glucosio orale OGTT intorno alla 24a-28a settimana di gravidanza:
- diabete in famiglia (un parente di primo grado con diabete tipo 2);
- diabete gestazionale avuto in una gravidanza precedente;
- caso di macrosomia fetale in una gravidanza precedente;
- paziente in sovrappeso o obesa (IMC maggiore di 25);
- età di 35 anni o maggiore.
Terapia
Quando siamo in presenza di diabete gestazionale è importante tenere sotto controllo il livello di glucosio nel sangue per evitare eventuali complicanze nel corso della gravidanza e per proteggere la salute della donna e del bambino. Inoltre è importante controllare il valore della glicemia nel corso di tutta la gravidanza e anche dopo il parto per valutare la potenziale comparsa di problematiche diverse. Un contributo importante nella terapia del diabete gestazionale lo fornisce una dieta calibrata fornita dal dietologo che aiuta la paziente a stabilire la migliore pianificazione per l’alimentazione.
Ritardo di crescita intrauterina
Il ritardo nella crescita del feto durante la gravidanza è una condizione che comporta un peso del neonato alla nascita inferiore a circa 2,5 chilogrammi.
In genere il 10% dei neonati è interessato da questo disturbo che deve essere suddiviso in forme moderate o severe a seconda del peso. Questo tipo di deficit ha anche altre caratteristiche da valutare poiché può presentarsi come armonico o disarmonico se si presenta con altre forme di ritardo che interessano l’altezza o la circonferenza del cranio del feto.
Cause
Quando è possibile individuare le cause, in genere sono collegate al tipo di ambiente in cui il feto è cresciuto e si è sviluppato. Possono essere cause che dipendono dalla madre, come un forte dimagrimento, un’alimentazione non corretta, alcolismo, tabagismo, consumo di droghe pesanti, squilibri ginecologici o patologie iniziate durante la gravidanza (ipertensione, preeclampsia).
La causa potrebbe essere anche una patologia collegata all’ovulo (detta anomalia placentare) oppure a carico del cordone ombelicale se in presenza di una gravidanza multipla. Atre motivazioni alla base del ritardo di crescita uterina possono essere collegate al feto come una predisposizione familiare, un’anomalia cromosomica, malformazioni, un’infezione fetale o nanismo.
Esami diagnostici
In genere la diagnosi per questa patologia ginecologica definitiva si ha alla nascita ma con l’ecografia può essere identificata con largo anticipo. Durante l’esame infatti le misurazioni che vengono effettuate sul bambino consentono di controllare il suo corretto sviluppo. In qualunque caso di ritardo di crescita intrauterino è indispensabile verificarne con precisione la causa e predisporre la paziente alla terapia più indicata.
Terapia
Non appena si è certi di essere in presenza di un ritardo di crescita intrauterino, possiamo adottare diverse opzioni per risolverlo. Innanzi tutto l’assoluto riposo a letto viene considerato come indispensabile. In secondo luogo l’alimentazione ha un’importanza capitale e in genere viene consigliata una dieta ricca di acidi grassi polinsaturi e lipidica mentre vanno diminuiti i carboidrati semplici. Si può inserire, a discrezione del ginecologo, l’infusione di soluzioni glucosate e aminoacidi. Di fondamentale importanza è il costante controllo della gravidanza con gli esami ematochimici, una biometria fetale, la flussimetria delle arterie ombelicali, dell’arteria cerebrale media e l’aspetto della placenta.
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